Politicamente: «Eliade e la Rivoluzione spirituale. Un progetto politico tra Portogallo e Romania»
Mircea EliadeLo storico delle religioni romeno Mircea Eliade fu designato, da re Carol II, addetto culturale presso l’ambasciata di Romania a Lisbona. Nella capitale lusitana arrivò il 10 febbraio 1941 e qui lo raggiunse la nomina effettiva conferitagli dal maresciallo Antonescu. Questi, nel 1940, aveva deposto il re e stroncato la tentata sommossa della Guardia di Ferro di Codreanu contro la sua dittatura. È in questo contesto, tra l’autunno del 1941 e quello del 1942, che Eliade pensò e scrisse un’opera per certi aspetti atipica rispetto alla sua sterminata bibliografia specialistica: si tratta di un lavoro di carattere storico-politico, per la prima volta disponibile in lingua italiana, Salazar e la rivoluzione in Portogallo, da poco nelle librerie per Bietti. Il libro è stato curato da Horia Corneliu Cicortaş, ed è impreziosito da un saggio di Sorin Alexandrescu, docente nelle Università di Amsterdam e Bucarest.
Eliade vide Salazar, dittatore del Portogallo, per la prima volta il 21 aprile del 1941, durante una delle allora consuete adunate oceaniche. Rimase fortemente impressionato dal personaggio. Innanzi tutto, dal tratto caratteriale dell’uomo, puro d’animo e senza ricchezze. Il leader lusitano aveva rinunciato, per il bene del suo popolo, alla professione per la quale si sentiva vocato, quella di docente universitario. In secondo luogo, lo studioso romeno fu colpito dalle idee filosofico-politiche di Salazar, che stava realizzando una “rivoluzione spirituale”, capace di riconsegnare alla politica lo slancio anagogico che le avrebbe consentito di porre sotto tutela le forze “demoniache” della finanza e dell’economia. Questo libro, pertanto, muove da un’originale rivisitazione della storia portoghese: l’autore presenta i significativi cambiamenti politici successivi all’omicidio di Dom Carlos, si sofferma sulla dittatura di Sidónio Pais e sul suo assassinio. Sviluppa, inoltre, l’analisi dell’autoritarismo di Oscar Carmona, divenuto presidente nel 1928, la cui elezione sarebbe stata il volano per l’ascesa politica di Salazar.
Nel momento in cui decise di scrivere questo testo, Eliade era fermamente convinto “di aver trovato in Portogallo il compimento sociale della rivoluzione spirituale, tradottosi nello Stato Nuovo salazariano” (pp. 286-287). Il dittatore avrebbe definitivamente sconfitto le “astrazioni” liberali e rivoluzionarie, con la loro triste storia di dolori e sofferenze del popolo e avrebbe ridato vigore alle istituzioni tradizionali, alle “realtà viventi” che il giovane Eliade aveva cominciato ad apprezzare fin dagli anni del suo studentato a Bucarest, dalla viva e indimenticata voce del maestro di un’interra generazione, Nae Ionescu. Del resto, nel 1930, durante il suo soggiorno indiano, lo studioso era venuto in contatto con il movimento indipendentista di Gandhi, esempio tipico di una possibile rivoluzione spirituale, oppositiva nei confronti del dominio dell’utile, imposto all’India dai colonizzatori britannici. Per non parlare della prossimità eliadiana agli ideali rivoluzionari e spiritualisti della Legione dell’Arcangelo Michele di Codreanu, maturata tra il 1937 e il 1938, che lo condusse, per un breve periodo, in un campo di prigionia.
Parlando del Portogallo salazarista, Eliade intende indicare una “uscita di sicurezza” anche alla propria Patria, la Romania e, più in generale, all’Europa. L’intellettuale era convinto che il libro pubblicato nel paese transilvano avrebbe suscitato un certo interesse, in quanto fondato su una rivalutazione della cultura e del mondo pan-latino. Per contribuire allo sviluppo della comune causa latina, l’autore ritenne “doveroso sconfinare nella politica e fare un ritratto apologetico di Salazar, da proporre alla Romania del generale Antonescu” (p. 292). Insomma, fondamentalmente tre motivi spinsero lo storico delle religioni alla stesura del libro, come emerge dalla missiva a Noica scritta il 24 aprile 1942: 1) fornire un contributo teorico al momento politico; 2) offrire alle nuove generazioni l’esempio di una possibile salvezza, che avrebbe potuto manifestarsi inattesa; 3) stimolare gli scambi culturali tra Portogallo e Romania.
È bene precisare che la proposta politica di cui l’autore, attraverso la figura di Salazar, si fa latore, non è definibile come “fascista” in senso proprio. Al riguardo, Alexandrescu precisa che è bene distinguere la posizione salazarista da quella che fu propria del partito delle camicie blu di Rolão Preto, “il quale, sebbene inizialmente filo-Salazar, più tardi lo attaccherà perché non totalmente allineato al fascismo” (p. 281). Eliade loda la politica d’equilibrio di Salazar, che seppe mantenersi lontano da ogni forma d’estremismo e di oltranzismo ideologico. La sua esperienza avrebbe potuto essere modello per la Romania di Antonescu, che doveva liberarsi dal radicalismo della Guardia di Ferro.
Sappia il lettore che, a solo un anno dalla pubblicazione del testo, Eliade si rese conto che questo lavoro avrebbe potuto suscitare equivoci, essere letto, comunque, come un testo filo-fascista e quindi come una esegesi faziosa della storia lusitana moderna. Di fatto, il dittatore portoghese era stato inserito dall’erudito romeno in uno schema d’interpretazione storica circolare, centrato sulla renovatio temporum. Salazar aveva risposto alla decadenza con un’azione politica soteriologica e provvidenziale, alla quale avrebbero potuto conformarsi i popoli d’Europa. Poiché l’esito della guerra spazzò via tale speranza, lo studioso prese le distanze dal libro che abbiamo presentato, oltre che dal suo passato legionario.
Cicortaş sostiene che, anche nel Salazar, la posizione antimoderna di Eliade non è riducibile al tradizionalismo integrale di Guénon. Ciò è certamente vero. La sua idea dinamica di Tradizione lo indusse a ritenere la renovatio temporum come improvvisa e realizzabile nella contemporaneità.
L’intellettuale romeno, con questo libro, ancora oggi di grandissima attualità, ci invita alla “rivoluzione spirituale”, suggerendoci che l’origine è davvero il sempre possibile, in attesa di uomini che la rendano Nuovo Inizio.
Perché, dunque, Eliade non è stato fino in fondo fedele a quest’idea? Ce lo spiega egli stesso nel Diario portoghese: “La tragedia della mia vita si può ridurre a questa formula: sono un pagano… che cerca di cristianizzarsi”. La lacerazione esistenziale che tale situazione determinò in lui ci pare, al di là delle ragioni contingenti, capace di spiegare le sue titubanze e i suoi non-detti.
(Giovanni Sessa, «Politicamente», n. 92, aprile 2014)