Dato che qualcuno parrebbe risentirsi per le mie note di argomento terroristico, premetto che l’apologia dei movimenti di lotta armata che hanno contrassegnato parte della storia degli anni Settanta non rientra fra i miei scopi. In merito alla materia in oggetto, ciò che mi preme è rintracciare nella violenza estremista la risposta alla violenza di Stato, in nazioni sedicenti democratiche come l’Italia e la Germania Ovest del periodo. Decontestualizzare, demonizzando o psicanalizzando a monte la scelta eversiva, significa, a mio avviso, assumere un atteggiamento storico pregiudiziale rispetto alla matrice politica che ha, pur se in modo radicale, coinvolto una fetta di generazione nata e crescita fra primo e secondo dopoguerra. Sono, in breve, per una traduzione a-morale della Storia, e adesso arrivo al dunque.
Durante il corso dei cosiddetti anni di piombo, la Rote Armee Fraktion è stata in Germania la formazione armata più assimilabile alle italiane Brigate Rosse. Medesimo collante ideologico marxista-leninista, ma nella nazione del Muro di Berlino e della memoria collettiva turbata dai fantasmi del nazifascismo, rispetto alle BR, la RAF si connota per un’ulteriore vocazione anti-imperialista. Fondata nel 1970 da Andreas Baader, Ulrike Meinhof, Gudrun Ensslin e Horst Mahler, rimase attiva ben dopo la morte in carcere dei suoi fondatori (ottobre 1977). Dopo di che: se l’ex giornalista Ulrike Meinhof resiste ancora come icona rivoluzionaria, Gudrun Ensslin – attrice, scrittrice e insegnante mancata – all’interno della Baader-Mehinof ne è la nemesi rimossa. Due giovani donne, borghesi – buoni studi e buone famiglie, figli e mariti sacrificati alla causa rivoluzionaria – in contrasto fra loro ma accomunate da uno stesso destino (impegno, lotta armata, rinuncia, prigionia e infine morte), la prima delle quali sovente agiografata, l’altra spesso sottaciuta.
Non a caso Gudrun Ensslin. Attrice, madre, terrorista, prigioniera di llaria Floreano (Bietti 2024) è il primo libro italiano incentrato sulla vita e le azioni rivoluzionarie della Ensslin. Un saggio umanista, ma equidistante e storicamente onesto, che muove in fondo da un comune interrogativo: cosa spinge una ragazza intelligente, carismatica, già mamma, a rinunciare a tutto, a scegliere le armi e una vita da braccata, su cui incombe perenne lo spettro della morte in battaglia o al meglio della prigionia? Come emerge nitidamente dalle pagine, di certo il fatto che indole e credo politico della Ensslin fossero di acciaio, pure se fra diverse contraddizioni, come emerge dal tratteggio pubblico-privato delle pagine 193 e 194 del volume:
Gudrun Ensslin era una studentessa volenterosa, un’editrice zelante, una militante intellettualmente acerba, aspirante alla purezza e all’assoluto. Una figlia della borghesia armata e castrata dai genitori, una moglie insoddisfatta, un’amante sensuale, un’innamorata feroce, una madre insofferente […] una guerrigliera che si gongolava di agire come un’eretica del Medioevo. Una filosofa in erba che faceva esplodere bombe […] una sensibilissima, spietata antenna di intenzioni e paure altrui (una Giovanna D’Arco fallimentare, una Rosa Luxemburg scomposta) […] Incauta ma sicura. Intelligente e stupida […] Una donna strana, complessa, dura come la pietra. Radiosa e tetra. Splendida e orrenda. Oscena. Inconcepibile.
È finita che Gudrun Ensslin si è impiccata in carcere a trentasette anni, la stessa notte in cui, secondo la versione ufficiale, si suicidano Andrea Baader, Jan-Carl Raspe e Irmgard Möller (Ulrike Meinhof si era impiccata a sua volta il 9 maggio del 1976); ma in Germania c’è chi nutre molti dubbi sull’attendibilità del suicidio collettivo.
Con il valore aggiunto di una intelligente prefazione di Barbara Sukowa (la Gudrun Ensslin dello straordinario Anni di piombo di Margarethe von Trotta) e una selezione delle lettere dal carcere alla sorella (inedite per l’Italia e tradotte dall’autrice), Gudrun Ensslin è un libro fondamentale, declinato senza partigianeria ma in maniera coinvolta e coinvolgente, che si muove tra biografismo, testimonianze, film che traggono ispirazione dalla vita della “terrorista”, e – per originale scelta associativa – altri film a lei assimilabili, per antitesi o affinità (Giovanna D’Arco e Rosa Luxemburg, in primo luogo). llaria Floreano si impegna nel tentativo ulteriore (e riuscito) di cogliere gli abissi e i fervori di una donna, di una guerrigliera in senso lato del termine, e attraverso la sua parabola agevolare sottotraccia i confronti ideali sul materno e sul femminile, sulla difficile conciliazione fra pubblico e privato, senso e non senso della vita. Per approccio espositivo e contenuti, la lettura di questo saggio trasversale è raccomandabile con convinzione.
Mario Bonanno ©sololibri.net 31 ottobre 2024