«Il faut tenter de vivre!»
Il 9 aprile sono stati celebrati i novant’anni della nascita di Gian Maria Volonté. Un recente libro di Umberto Lucarelli, edito da Bietti, consegna alla voce di Oreste Scalzone l’onore e il piacere di far rivivere il ricordo dell’amico attore
Il 7 aprile 1979 il magistrato padovano Pietro Calogero ordina l’arresto, tra gli altri, di Toni Negri, Emilio Vesce ed Oreste Scalzone. L’accusa è di partecipazione ad associazione sovversiva e banda armata e concorso in rapina. Scalzone, fondatore nel 1969 dell’organizzazione Potere Operaio (con Franco Piperno e Toni Negri), versa in pessime condizioni di salute. Il 23 luglio 1980 il Corriere della Sera informa che il detenuto, “ospite” a Rebibbia, presenta un preoccupante quadro clinico accertato dai responsabili sanitari: «Quattordici chili persi in sei mesi, “diminuzione di spirito vitale” caratterizzata da casi evidenti di astenia o improvvisi svenimenti, gastroduodenite e una forma dolorosa di scoliosi». Il 29 luglio 1980, Scalzone è operato di appendicite. Ad agosto, viene respinta la richiesta di libertà per motivi di salute. A settembre il detenuto può beneficiare della libertà provvisoria. A fine marzo la stampa annuncia (tardivamente) la fuga. Il Corriere della Sera (edizione del 28 marzo) pubblica la notizia in prima pagina. Scalzone, temendo di venire nuovamente arrestato, è fuggito all’estero.
La rivelazione è trapelata per iniziativa di Franco Piperno che ha reso noto il contenuto della lettera ricevuta dal fuggitivo: «Ho avuto notizia, per me terribile, che potrei essere riarrestato. Qui così non potevo più vivere. E così ho deciso di sottrarmi al controllo. Stavo troppo male per non rischiare di distruggere definitivamente Lucia, Linda, me stesso. Qui non sarei guarito mai. A settembre mi hanno messo fuori perché stavo morendo, ora ho dovuto tagliare tutti i cordoni ombelicali perché stavo impazzendo».
Un racconto-fiume quello di Scalzone. Oltre sessanta ore di dichiarazioni condensate in poche decine di pagine fitte, asciutte, incisive, commoventi. Sono ammissioni piene quelle con cui Scalzone travolge il suo intervistatore. Una foga dichiarativa accorata, densa, fibrillante al punto da soverchiare le formalità della punteggiatura, delle formule, del discorso diretto. La Leggerezza (con la maiuscola) con cui Umberto Lucarelli compie questo prodigio di sintesi ha il valore di una distillazione sentimentale tanto soffice e soave quanto la morbida delicatezza dell’intero racconto. Nel mescolìo di eventi e memorie Volonté è l’autentico nucleo di una stagione senza rimpianti. Gian Maria è la figura che irrompe, irradia col suo carisma e dispensa energie a profusione. È l’artista istrionico, il combattente instancabile, il vulcano in fermento e, sopra ogni altro talento, l’amico generoso che risponde all’ipotesi della fuga con un perentorio
«A completa disposizione, immediatamente». La traversata notturna, la malinconia stemperata dai cenni di un’intesa solidale, l’abbraccio caldo per un “arrivederci” perpetuo e i pugni chiusi, ancorché le estemporanee simbologie di un’avventurosa impresa “criminale”, diventano i sigilli di un’epifania fraterna. Il senso dell’amicizia tra il latitante e l’attore-combattente è tutto racchiuso nell’essenziale solida
persistenza di una corrispondenza che prescinde dalla reale opportunità dell’incontro: «eravamo amici tanto, eravamo sempre amici che lui ci fosse o non ci fosse, avevamo questo sentimento». Una complicità, la loro, celebrata nella clandestinità del culto assembleare, della fecondità progettuale, del vigore rivoluzionario, del puro piacere colloquiale. Gian Maria irrompeva col suo nome in codice, il Maestro. Nel
silenzio della stanza comune, sapeva prodursi in una grassa risata, improvvisare un’imitazione perfetta, raggiungere la commozione fino alle lacrime. «Vivevamo in simultanea» ammette Scalzone mentre evoca le battaglie per la vita nelle fabbriche, l’amnistia a beneficio dei réfugiés, il progetto per portare sul grande schermo la storia di Mara Margherita Cagol, l’idea di un film sulle condizioni nelle carceri speciali
(«nel circuito dei camosci, della tortura»). Nella piena sintonia di una consonanza elettiva («Gianmaria è con me concomitante»), Volonté è una sorta di presenza emblematica che raccoglie su di sé tutto il senso di una vocazione naturale alla missione rivoluzionaria: «Le persone sono i fatti che hanno consegnato, le cose che hanno detto, che hanno realizzato, Gianmaria ne aveva fatte tante di cose, era un attore e era un compagno, un militante, uno che si impegnava in prima persona». È proprio questa integrità di amico,
artista e soldato a farne il Gianmariavolonté, espressione che sintetizza, accorpa e rende leggendaria una somma di ascendenze mitiche e di pulsioni sanguigne, consumate fino alla morte. C’è modo e tempo per contrassegnare il cammino di un medesimo apostolato laico – condiviso, amato e difeso – con gli oggetti-simbolo di una interminabile stagione di indimenticabili intese, impresse al suono delle Olivetti lettera
32 e M 40, tra le divertite improvvisazioni sceniche, impugnando la paluche (la mini-telecamera) e la palmare, nelle ambasciate e nelle lettere consegnate in segretezza dall’artista- corriere. «Gianmaria correva come un treno, io correvo come un treno, tutti correvamo come un treno e poi hanno deviato il binario, ci hanno messi sul binario morto, siamo stati fermati con il carcere, la malattia, la morte, poi tutto si arresta, ma io sono ancora qui e ti parlo». La voce del reduce «secco, scavato e vecchio» cede alle ombre di una malinconia straniante. Il guerriero in divisa da attore riappare in tutta la sua grandezza, emergendo dalle espressioni iniziali di Le Cimetière marin di Paul Valery: «Le vent se lève!… il faut tenter de vivre!». È il soffio vitale dell’immortalità, quell’alito di ebrezza che, fuori dal tempo, stabilisce
gli orizzonti della libertà compiuta. È tempo, adesso, che l’ultimo combattente si congedi da ogni tenerezza, nell’ora dell’ultima missione: custodire in sé il tutt’uno di infinite meraviglie. Orestescalzone, appunto.
Da leggere e rileggere, più e più volte, anche in omaggio a tutti coloro che sanno «incalzare la vita e non stancarsi mai di raccontare».
Natale Luzzagni ©Palomar aprile 2023