Nel suo appartamento, arredato con il gusto tipico di uno studioso amante dei libri e dei mobili antichi che raccolgono polvere e trasudano cultura, Ulisse Moretti, detective in pensione con un principio di Alzheimer, fatica a ricordare i versi macabri di una filastrocca, strumentale nella risoluzione di un caso di cui si era occupato anni prima e che un copycat sembra voler emulare nel presente. Le strofe iniziano a comporsi nella sua mente, ma la memoria gioca brutti scherzi. Si sforza, cercando di ricordare. Non ha sonno.
In un’altra abitazione – che non si ha l’opportunità di vedere, ma si immagina elegante e arredata con il gusto di un’epoca passata – una donna composta, raffinata e attenta al dettaglio del suo abbigliamento si tormenta nel ricordo del figlio, ingiustamente accusato di una serie di macabri delitti e, per la cronaca, scomparso misteriosamente. La verità che le appartiene la divora dall’interno, per quell’atto di generosità che ha restituito dignità a un essere umano schiacciato dal peso della deformazione fisica e della condanna morale. Il dolore è ancora vivo, la donna si muove all’interno della casa in cerca di un momento di pace. Non ha sonno.
Giacomo, nel suo modesto appartamento romano, lotta con tutte le sue forze per non cedere alla tentazione di uscire e comprare una bottiglia di vino nel piccolo negozio di alimentari in fondo alla via, aperto tutta la notte. Si è lasciato l’alcol alle spalle, dopo un’infanzia devastata dall’immagine della madre massacrata in un sottoscala davanti ai suoi occhi, senza poter far nulla per aiutarla. È disteso sul letto, guarda un punto indefinito del soffitto, il respiro è leggermente affannato. Un’altra notte senza fine. Non ha sonno.
E poi c’è un altro appartamento, diverso dagli altri, apparentemente disabitato. L’arredamento è ridotto al minimo, la polvere si è accumulata sui mobili, la camera da letto è spoglia, trascurata, anonima. Il letto è stato campo di battaglia fino a pochi minuti prima. Angela, di fronte all’ennesima richiesta fuori dall’ordinario, si è rifiutata di proseguire oltre nei giochi perversi del suo cliente: è ora di farla finita. Una figura nascosta da un lenzuolo vecchio e scolorito afferra due pastiglie blu appoggiate sul comodino e le ingoia rapidamente. Nella sua testa rimbombano cadenzati i versi di una filastrocca allucinante. Troppo caos da affrontare quella notte. Non ha sonno.
Nella suggestiva città di Torino, sovrastata dalla Mole Antonelliana superbamente illuminata, un regista si aggira tra i vicoli di un quartiere poco frequentato dai turisti. Bussa alle porte delle abitazioni, accolto dalle espressioni stupite ed elettrizzate delle famiglie che rispondono alla sua richiesta. Torino è la sua città di adozione, quella in cui si è imposto all’inizio della carriera come operatore di una macchina da incubi che hanno superato il confine nazionale, per ricevere elogi e apprezzamenti in tutto il mondo. Cerca una sensazione, un’ispirazione, una presenza da percepire, un nuovo trauma da raccontare. È eccitato, emozionato, entra nelle camere, si stende sui letti ancora intatti1. Chiude gli occhi per aprire la mente. Il vortice nella sua testa non gli concede tregua. Nemmeno lui ha sonno.
Sono almeno cinque, dunque, le figure insonni del rompicapo argentiano che, nel 2001, segna il ritorno definitivo e a lungo richiesto del regista romano al giallo classico. Quello che, con la trilogia degli animali composta da L’uccello dalle piume di cristallo (1970), Il gatto a nove code (1971) e 4 mosche di velluto grigio (1971), gli aveva aperto le porte della notorietà internazionale, per poi consacrarlo a supremo Maestro del brivido italiano con Profondo rosso (1975). L’ossessione, questa volta, è incentrata sul tormento, sull’incapacità di trarre giovamento dal sonno, che azzera le fatiche quotidiane per preparare corpo e mente a una nuova giornata.
Nonhosonno, un’unica parola, è – e non potrebbe non essere – il suggestivo titolo del quindicesimo lungometraggio di Dario Argento, che racconta le anime tormentate di personaggi incapaci di fare i conti con il loro passato. Non ho sonno, tre parole distinte, è il titolo del “libro nero” nella sceneggiatura non definitiva scritta a sei mani da Dario Argento, Franco Ferrini e Carlo Lucarelli. Una storia macabra, allucinante, perversa, contenuta all’interno di una busta di plastica azzurra inavvertitamente sottratta all’assassino da una prostituta. C’è qualcun altro, però, che non ha sonno: è il protagonista di La fattoria degli animali, filastrocca che descrive con minuziosi dettagli la carneficina di bestie perpetrata da un fattore il quale, guarda caso, non riesce a dormire. Ne viene rinvenuta una copia nell’appartamento di John McKenzie, giallista dei bei tempi andati, conosciuto tra i lettori di cronaca nera come il Nano Assassino, presunto autore di efferati delitti commessi a Torino in un passato non eccessivamente lontano.
Alcuni anni dopo, una nuova serie di omicidi, collegati da insolite figurine di animali ai delitti del Nano Assassino, torna a strappare il sonno agli abitanti della città, ma questa volta tutto sembra assumere un significato diverso: è proprio La fattoria degli animali a creare i capitoli della sceneggiatura redatta dal killer, in un sentito omaggio al giallo classico per eccellenza, Dieci piccoli indiani, partorito dalla fantasia frenetica e inesauribile di Agatha Christie.
Per l’occasione, il regista romano chiama all’appello sua figlia Asia, questa volta non come protagonista davanti alla macchina da presa, ma come autrice della filastrocca che scandisce le gesta del maniaco. A questo proposito, nella bozza di sceneggiatura iniziale (ancor prima che Lucarelli entrasse in gioco), scopriamo che il protagonista non si chiama Giacomo Gallo, bensì James Lamb (in inglese: agnello), e si è trasferito a Londra e non a Roma, prima di essere richiamato a Torino dal suo amico d’infanzia Lorenzo (stesso nome nelle varie stesure cronologiche). Elementi nuovamente anglosassoni, come nella maggior parte delle opere di Argento, che prevedono quindi la stesura della filastrocca del fattore in entrambe le lingue, inglese e italiano.
And in my bed I toss and fight
This is how my war began
with the beasts across the land
Morning at one,
The farmer has some little boy’s fun!
Piggy’s throat he quickly slits
in victory the battle quits
Morning at two,
The rooster’s cock-a-doodle-do
The instrument for this fine song
Makes the pleasure nice and long
Morning at three,
The farmer strangles the chickee-wee
«won’t let me sleep»
Yet, In his bed there’s not a peep
Morning at four,
Here’s kitty purring at the door
In the tub for an icy swim
And drowning her for just a whim
Morning at five,
The little rabbit crushed alive
With rabbit’s teeth she bit and fought
But in the end it brought her naught
Morning at six,
Now the long swan’s neck he’ll fix
When he cuts it from her head
He knows that his last foe is dead.
The break of day,
The farmer in his bed now lay
With all his weapons in a heap
Now he can finally go to sleep.
È arrivata mezzanotte
con il letto faccio a botte,
ora inizia la mia guerra
con le bestie della terra.
Una del mattino,
il fattore è felice come un bambino,
sgozza il maiale più bello
e si libera del primo fardello.
Due del mattino,
ora tocca al gallo,
usa bene il suo strumento,
per la morte è un godimento.
Tre del mattino,
il fattore strangola il pulcino,
«L’insonnia mi tormenta!»,
si rigira nel letto e si lamenta.
Quattro del mattino,
ha acchiappato un gattino,
ma poiché l’ha graffiato,
nell’acqua gelata l’ha affogato.
Cinque del mattino,
il fattore è nel giardino,
accarezza il coniglietto,
poi lo sbatte al muro per diletto.
Sei del mattino,
al cigno più carino,
il fattore ha tagliato la testa,
ormai nessun nemico gli resta.
Ecco arriva il nuovo giorno,
il fattore si leva di torno,
le sue armi può posare
e finalmente può dormire.
Le due filastrocche testimoniamo un eccellente lavoro di adattamento da parte di Asia Argento. Le strofe creano veri e propri quadri che rappresentano già di per sé storyboard funzionali alla sceneggiatura del film – su tutti, quello del gattino affogato in una vasca. Nella sceneggiatura iniziale, l’unica differenza sostanziale con la filastrocca riguarda la strofa delle due del mattino. Per allineare l’omicidio della madre di James, Elisabeth Lamb, è un agnello a finire tra le grinfie dell’insonne fattore.
Due del mattino,
ora tocca all’agnellino
Usa bene il suo strumento
Per la morte è un godimento
Incidentalmente, si tratta del passaggio più significativo della filastrocca. Quello che Ulisse Moretti non riuscirà a comprendere, se non troppo tardi. L’idea dell’identità dell’assassino “suggerita” da un errore di interpretazione della parola “strumento”, scambiata per “strumento musicale”, è un colpo di scena tipico del giallo classico all’inglese. Agatha Christie usa un escamotage simile nel romanzo Se morisse mio marito, in cui un personaggio impegnato in una conversazione scambia “il giudizio di Paride” di omerica memoria con “il giudizio di Parigi” (gioco di parole irriproducibile nella versione italiana del romanzo, mentre in inglese “Paride” e “Parigi” si traducono entrambi con “Paris”). Il fraintendimento è l’elemento chiave, che consente a Hercule Poirot di risolvere il mistero e smascherare un brillante scambio di persona.
In realtà, per ammissione dello stesso Franco Ferrini, l’idea del fraintendimento tra “strumento” e “strumento musicale” è presa in prestito dal romanzo La tragedia di Y di Ellery Queen, in cui l’oggetto di fraintendimento è un mandolino2.
Uscito nelle sale italiane il 5 gennaio 2001, con immensa gioia di molti fan del regista, Nonhosonno è per molti un vero un ritorno alle origini, promosso con il tempo tra le punte di diamante della filmografia più recente di Argento. Molti i rimandi ai suoi grandi classici.
Primo: un incipit al cardiopalma. 21 minuti di adrenalina pura, culminanti nell’ormai leggendaria sequenza a bordo del treno. Un calcio d’inizio tra i più ispirati della sua carriera.
Secondo: l’elemento risolutore intrappolato nella memoria del protagonista. Quel sibilo che lo fa sobbalzare anche all’apertura delle porte del treno, quel suono che è sicuro di aver udito da bambino, ma non riesce a decifrare perché, come affermato da Moretti nella sceneggiatura non definitiva, «La vera conoscenza è il ricordo».
Terzo: Gabriele Lavia, che con un salto generazionale cambia figura – da figlio a padre del killer – mantenendo invariata la sua missione di vittima sacrificale, immolata sull’altare della famiglia.
Quarto: l’investigatore improvvisato, protagonista della pellicola, che affianca il detective in pensione nelle indagini non ufficiali, formando con lui una coppia che richiama alla memoria il duo Arnò/Giordani di Il gatto a nove code o i giovani spregiudicati Daly/Brezzi di Profondo rosso.
Quinto: la reunion dei membri originali dei Goblin, per la prima volta insieme in una regia di Argento dai tempi di Suspiria (1977).
Sesto: l’infanzia traviata, ieri accompagnata da nenie inquietanti – come le musiche originali di Ennio Morricone per L’uccello dalle piume di cristallo e nuovamente dei Goblin per Profondo rosso – e oggi scandita dai macabri versi di una filastrocca.
Un’opera nera che rifulge del candore interpretativo di Max von Sydow e, come nei casi di Joan Bennet in Suspiria e Clara Calamai in Profondo rosso, regala una fugace ma indimenticabile interpretazione di una delle grandi glorie del nostro cinema, Rossella Falk, nel suo ultimo ruolo per il grande schermo.
Note
1 Argento Dario, Paura, Einaudi, Torino 2014, p. 308.
2 Dichiarazione tratta da un’intervista contenuta nel Blu-ray di Nonhosonno, edizione Scorpion Releasing, regione A.
CAST & CREDITS
Regia: Dario Argento; soggetto: Dario Argento, Franco Ferrini; sceneggiatura: Dario Argento, Franco Ferrini, Carlo Lucarelli; fotografia: Ronnie Taylor; scenografia: Antonello Geleng; costumi: Susy Mattolini; montaggio: Anna Rosa Napoli; musiche: Goblin; interpreti: Stefano Dionisi (Giacomo Gallo), Max von Sydow (Ulisse Moretti), Chiara Caselli (Gloria), Roberto Zibetti (Lorenzo Betti), Paolo Maria Scalondro (commissario Manni), Gabriele Lavia (avvocato Betti), Roberto Accornero (Fausto), Daniela Fazzolari (Maria Luisa), Rossella Falk (Laura De Fabritiis), Barbara Lerici (Angela); produzione: Dario Argento e Claudio Argento per Medusa Film, Opera Film; origine: Italia, 2001; durata: 112’; home video: dvd Medusa, Blu-ray ABC (Spagna); colonna sonora: Cinevox.