Una stanza piena di luce. Intervista a Mirella D’Angelo
Marco Lazzarotto MuratoriRoma, 28 aprile 2022
Il personaggio che forse ti ha reso più celebre e per cui spesso sei ricordata e celebrata sui social e sulle riviste specializzate è quello di Tilde: una giornalista femminista, omosessuale ed estremamente agguerrita. Nonostante tu non sia ufficialmente la protagonista di Tenebre (1982), sei a tutti gli effetti la figura che viene ricordata di più. Forse un autore riesce a imprimere nella sua opera l’incontro con una personalità forte come la tua.
Non avrei mai immaginato che questo lavoro con Argento producesse un effetto, a distanza di tempo, come quello che tu hai descritto. L’immagine della maglietta tagliata dal rasoio con i miei occhi terrorizzati è sulle copertine di libri, sulle magliette, viene scelta sempre di più per pubblicizzare Tenebre e, a volte, anche per rappresentare tutto il cinema di Dario Argento. Ho saputo di poster enormi con questa immagine a Leicester Square, a Londra, anni fa, in occasione di Halloween, nonché in vari punti di New York per presentare il recente evento Attenti a Dario Argento! al Lincoln Center. Posso dire che forse, in Francia, si ricordano più del mio personaggio nel film Il piccione di piazza S. Marco (1980, ndr), con il loro amato ed eccezionale attore Jean-Paul Belmondo. Negli Stati Uniti omaggiano ancora il controverso Caligola di Tinto Brass (1979, ndr), dove il mio personaggio affronta la parte più scioccante e violenta del film, ma certamente la Tilde di Tenebre è rimasta impressa ai fan di tutto il mondo. Avere creato così tanti innamoramenti attraverso mie partecipazioni in vari film è qualcosa di molto divertente. Mi commuove. Comunque, come anche nel caso della mia Circe in Hercules di Luigi Cozzi (1983, ndr), i ruoli erano più lunghi, non come quello in Tenebre.
Il tuo, però, è davvero il personaggio che emerge di più…
Ciò deriva dal fatto che praticamente io sono Tilde! Moltissime delle sue caratteristiche mi appartengono. Dario credo lo abbia capito immediatamente. Un’attrice mette sempre qualcosa di suo nel personaggio. Con Tilde ho dovuto aggiungere o togliere poco: ero io. Agguerrita contro il maschilismo, la misoginia, disgustata dalla superficialità della mia amica, nevrotica a volte, ma anche seducente perché Tilde proietta una forte sensualità. Ha una personalità complessa, a volte dolce, spesso chiusa e sospettosa. Come me, ahimé!
Come è stato il tuo provino per Tenebre?
Nessun provino. Sai che Dario non fa mai provini? Si basa sull’incontro con gli attori come, secondo me, facevano i grandi registi. Quell’incontro fu decisivo per me, in quanto il mio agente era preoccupato che quel ruolo potesse compromettere il mio percorso artistico. Mi consigliava di non farlo, senza sapere che era proprio la sua originalità ciò che più mi interessava. Argento era già molto conosciuto, ma era considerato un autore “di genere”, la famosa parolaccia, e in quegli anni era parecchio criticato. Io e il mio agente andammo all’incontro, nel suo ufficio di produzione, e la mia più forte sensazione fu che quella stanza venne inondata di luce dal suo sguardo. Dario sorrideva e quell’energia, quella gioia nel conoscermi, mi convinsero all’istante. Forse è gentile con tutte le attrici che incontra, però a me disse: «Ma dov’eri prima?». Non c’è cosa più bella dell’armonia con il regista con il quale lavorerai. Ho avuto subito il copione e l’offerta. E io ho immediatamente accettato. Tilde era un personaggio all’avanguardia, rispetto a quei tempi, e questo era per me la ciliegina sulla torta.
La scena più celebre di Tenebre è il piano-sequenza – forse uno tra i più famosi della storia del cinema – con la Louma che ti inquadra in campo medio e, da lì, si sposta per descrivere una traiettoria intorno a questa splendida villa dell’Eur, riprendendo ciò che avviene in altre stanze e l’assassino che si accinge a entrare in casa. All’epoca la tecnica con cui è stata girata era avanguardistica. Cosa ricordi di quel momento?
Che fortuna capitare in quella scena memorabile! Be’, sì, si sentiva che non era un momento di set come altri. Era sera: la luce dei riflettori esterni, la gioia di girare, c’era un’eccitazione particolare. L’attesa per qualcosa di molto speciale. Parecchi della troupe, Dario su tutti, erano molto concentrati ma anche felici, non so, come se sapessero che avrebbero realizzato un pezzo d’arte indimenticabile. Tutto andò benissimo, anche la scena dell’omicidio, con il perfezionismo e la pignoleria che amo molto in Dario: rende tutto semplice, anche le scene più complicate, costruendo un ambiente sereno – per ciò che è la mia esperienza – e anche molto professionale. Lui seguiva ogni minimo dettaglio. Uno spasso, per me. Dario era davvero molto ispirato, eppure ha anche accolto tutte le mie proposte nel delineare il personaggio di Tilde.
A proposito della scena del tuo omicidio, anch’essa giustamente celebre: com’è stato essere diretta da Argento in quel frangente? Ricordi il tuo stato d’animo durante le riprese?
È un momento di cinema pieno di cose curiose. Inizia con il rientro a casa e il litigio isterico con la mia amante. In quella scena dovevo tirarle un posacenere di vetro. Io volevo fare le prove usando proprio quello vero, per capire il peso nel tirarglielo. Dario non volle, soprattutto perché le avrei fatto male. Vero, ma come potevo fare con il cuscino che lui proponeva di tirare per vedere in prova l’inquadratura? Ho accettato di fare ciò che suggeriva, leggermente contrariata. Poi, però, durante la ripresa vera l’ho centrata in pieno, la mia amica, malgrado non avessi provato quell’oggetto! Per fortuna lei spostò la gamba e non si fece nulla. Scena riuscita. Poi, in sequenza, entravo nella mia camera e aprivo le tende perché sentivo un rumore. Indossavo una mia maglietta: Dario la preferiva a quelle proposte dalla costumista che, tra l’altro, per Tilde ha confezionato abiti bellissimi. Insomma, questa maglietta era stata scelta da Dario, ma non avrebbe potuto essere tagliata dal rasoio per ovvi motivi di ripresa, dato che si fanno minimo due riprese e spesso molte di più. Ma lui insisteva: voleva proprio quella maglia. Così trovò la soluzione: me la sarei tolta. Del resto, quando entriamo in casa ci mettiamo vestiti più comodi, giusto? In questo modo il problema era risolto. Il cambiamento, inoltre, mi dava la possibilità di provare l’agghiacciante sensazione data dal sapere che il possibile assassino ti sta toccando, ma tu sei imprigionata dalla maglietta che stai mettendo. Geniale. Il momento preciso dell’omicidio, poi, era stato preparato nei minimi particolari e io, più che avere paura, notai la perfezione tecnica nell’eseguire quella ripresa. Era confortante. Tutti vicini, tutto insieme, come in un balletto: Dario, chi tagliava la maglietta, chi schizzava il sangue e la mia espressione di terrore. Perfetto. E Dario era entusiasta. Io, forse, per la prima volta superai la paura dei film di Argento che, per anni, mi ero rifiutata di vedere per non sognarmeli la notte.
C’è un’altra scena, in Tenebre, in cui, durante la conferenza stampa per la presentazione del libro di Peter Neal, te la prendi proprio con lui, accusandolo di maschilismo. Che ricordo hai di Anthony Franciosa?
Ho incontrato e lavorato con tanti attori fantastici e lui era uno di questi. Un attore bravissimo. Nel film ho solo una scena con lui, ma posso dire di essermi sentita benissimo e di avere davvero apprezzato l’eccellenza della sua recitazione. Forse erano gli inizi delle riprese di Tenebre, ma tra lui, John Saxon e John Steiner, in quella scena, ero davvero in ottima compagnia.
Io credo che, in qualche modo, un artista pianti un seme: magari non germoglia immediatamente, ma nel corso degli anni.
Tenebre sta crescendo. Per tanti fan è il film preferito dell’intera cinematografia di Dario. Per altri è al secondo posto, per altri ancora al terzo, ma è sempre in posizioni di vertice. Ne sono felice. Sembra non invecchi, e critici di tutto il mondo continuano a recensirlo con entusiasmo.
Ma tu e Dario vi siete rivisti dopo Tenebre?
Dario è stato una figura molto importante per me, un uomo che ho frequentato in vari momenti della mia vita. Dopo lo scambio professionale per Tenebre l’ho incontrato di nuovo, per caso, a una festa mentre ultimava Phenomena (1985, ndr). Da lì ci siamo visti per un po’, poi persi. Ci siamo risentiti nel 2004, poi ripersi. Per molti mesi ci siamo rivisti nel 2019 e poi, ancora una volta, ripersi. Ma tutti quegli incontri, le sue parole e i suoi comportamenti, hanno segnato e arricchito senza dubbio la mia vita. Mi è successo con pochissimi, nel mondo dello spettacolo.
Mi colpisce come tu abbia fatto, nella tua carriera, scelte coraggiose e mai banali.
Ho dato sempre molto valore a ciò che un incontro professionale mi comunicava, scegliendo il film che mi avrebbe arricchita personalmente e professionalmente al posto di quello che sarebbe servito alla mia carriera in termini di notorietà. Non dico sia la cosa giusta da fare, io ho preferito così. Per fortuna, a volte, questo ha coinciso con l’avere a che fare con grandi come Argento, Federico Fellini, Tinto Brass, Jean-Paul Belmondo, Sergio Sollima, Giorgio Albertazzi, Anthony Page, Peter Richardson e tanti altri. Amo il lavoro dell’attore, ma non ciò che lo circonda. E poi mi piacciono i personaggi di urto, che dicono qualcosa. Anche scomodi, a volte. Mi piace trasformarmi e talvolta non mi si riconosce da un film all’altro. Alcuni tra i film che ho scelto, per fortuna, mi hanno dato questa possibilità. Ho fatto la principessa indiana Surama nel Sandokan televisivo di Sollima, la maga con corazza nell’Hercules di Cozzi, la lesbica agguerrita negli anni Ottanta in Tenebre, la vergine violentata in una scena terribile del Caligola (1979), la ragazza dolcissima in Italia a mano armata (1976), la ladra-imbrogliona in Il piccione di piazza S. Marco (1980), la spogliarellista-ballerina in un film d’autore francese – Putain d’histoire d’amour (1980), diretto da Gilles Béhat –, la donna fragile e persa in Apartment Zero con Colin Firth (1988) e tanti altri ruoli borderline. Non ho mai cercato per prima cosa la fama.
Cos’è che hai sempre cercato, invece, Mirella?
Ho sempre cercato anime belle, e la vita è stata generosa. Le anime si riconoscono. E ti riconoscono, se sei autentica. Ho lavorato con fotografi e registi straordinari, ho incontrato e sono stata amata in vari periodi della mia vita da puri geni. Questa forza ti rimane dentro. Mi hanno davvero dato tanto e io le cerco ancora, quelle anime belle. Le riconosco nelle persone nuove che incontro e incontrerò: anime libere.
Essere una donna libera o, per meglio dire, una persona libera, spesso ha un prezzo.
Sì, però se sei così non puoi fare a meno di esserlo. A tutti i costi. Inoltre, è una cosa buona che può ispirare, dare forza. Ci saranno sempre momenti di dolore, ma il dolore fa parte della vita. Come quando Fellini ci lasciò nel 1993: in quegli anni ci sentivamo spessissimo, lo sconforto e il dolore per aver perso un grande amico e un grande regista, un genio, mi fecero decidere di cambiare direzione. Lasciai l’Italia. La mia vita e il mio essere attrice sembravano avere meno senso. Per come era magico, anche dopo la sua morte Fellini mi arrivava in sogno e, da lì a poco, rimasi incinta. Nel 1994 nacque mia figlia Angelica e io restai a Londra per tantissimi anni, in un’altra vita che mi avrebbe dato quei tasselli umani e la forza che mi mancavano.
E oggi che cosa desideri, Mirella?
È un periodo storico molto doloroso. Bisogna trovare in noi forze più potenti. Quando il mondo soffre, come in questi ultimi anni di pandemia e tanto altro, io non posso fare a meno di congiungermi a un senso della vita più grande. I fan, in questi ultimi anni, sono stati un punto di luce, come l’aiutare i miei anziani genitori, lo scambio umano e professionale attraverso interviste come la nostra, l’avere una figlia meravigliosa. Sta uscendo in vari festival un cortometraggio al quale partecipo e che è un inno all’amore: Sissy, di Eitan Pitigliani. Auguro tanta fortuna a questo piccolo gioiello. Poi ci sono progetti, in particolare uno con un altro regista giovane. Cosa desidero? Continuare a cercare le cose che mi emozionano e mi fanno brillare gli occhi.