Faceva l’oca ma era un genio
Per gentile concessione dell’editore Bietti pubblichiamo ampi stralci dell’introduzione del libro di Bruna Magi Marilyn, l’intervista impossibile.
Sessant’anni dalla morte, era il 4 agosto 1962. Se fosse vissuta, Marilyn Monroe nel 2022 avrebbe compiuto novantasei anni. Tutti le avrebbero augurato di campare sino a cento e probabilmente lei li avrebbe mandati al diavolo. Figuriamoci, non sopportava l’idea di una ruga a trentasei, avrebbe giudicato banale e noiosa la teoria secondo la quale stiamo guadagnando punti con le possibilità di durata che la vita oggi ci offre. Tanto più che la morte l’aveva cercata molte volte, guardandola bene in faccia, attraverso una continua escalation nell’assunzione di alcol e barbiturici di ogni tipo, per riuscire a vivere, a dormire, a essere sveglia, ad amare e disperarsi.
LO STAR SYSTEM
Sarebbe stata la protagonista ideale di un best-seller pubblicato nel 1966, quattro anni dopo la sua dipartita: La valle delle bambole, 30 milioni di copie vendute nel mondo, autrice Jacqueline Susann, poi diventato un film e una serie tv, racconta di come e a quale prezzo le ragazze sopravvivevano a Hollywood, oppure finivano stritolate: troppe pastiglie quotidiane (sono loro, le “bambole”) per arrivare all’alba del giorno dopo in vita, e qualche volta da morte.
Marilyn ha in parte ispirato quel libro. (…) Eternamente in bilico fra l’interpretare una creatura di luce assoluta e il restare un povero essere fragilissimo, ineluttabilmente attratto dalla spinta a schiantarsi nel baratro. Siamo sempre soli sul cuor della terra, trafitti da un raggio di sole, e non ci rendiamo conto che la sera arriva comunque troppo presto, ci coglie alla sprovvista, come scriveva Salvatore Quasimodo. E come cantava Fabrizio De André: quando si muore si muore soli, anche dopo aver combattuto la stessa guerra o amato in cento l’identica donna.
Molte volte, nel corso dei miei lunghi anni di giornalismo cinematografico, quando tutti la giudicavano una bionda oca per eccellenza (la stessa critica cieca che a lungo ha considerato Totò una maschera cretina, salvo un giorno scoprirne la genialità), l’ho difesa, scrivendo che oscillava tra il prendere in giro sé stessa e gli altri, con la sua ironia innata che anticipava i tempi, e la necessità di adeguarsi a un modello abusato e obbligato, ai tempi in cui Hollywood optava ancora per la netta distinzione fra angeli del focolare, pure eroine di immani tragedie, donne diaboliche che attiravano gli uomini in cerchi infernali, o svampite che con vocine gorgheggianti puntavano all’unico traguardo sensato: sposare un uomo ricco. (…)
Più volte ho pensato con malinconia che non c’era mai stata un’intervista nella quale Marilyn avesse rivelato la verità su di sé. In apparenza, le sue, sembravano confessioni totali, in realtà ne rilasciava solo brandelli. E bugie, che il giorno dopo smentiva e purtroppo miravano sempre a non intaccare l’immagine che faceva vendere il suo corpo. Peccato.
Una grande donna, all’epoca, l’ha inseguita a lungo e disperatamente, per cercare di carpirle questa verità sempre dissimulata: Oriana Fallaci, che aveva tre anni meno di Marilyn Monroe, e a soli ventitré, spedita negli Stati Uniti da Angelo Rizzoli senior come inviata per «L’Europeo», sbarcò a Hollywood per raccontarne il mito di “Mecca del Cinema”. (…)
ORIANA FALLACI
Oriana li voleva agguantare a ogni costo, i “suoi” intervistati, li usava a propria discrezione, e otteneva battute, confidenze inedite dai giganti (o mostri, sia pur sacri, scegliete voi) affrontati a distanza ravvicinata, che si trattasse di Cecil B. DeMille o Burt Lancaster, di Kim Novak o Judy Garland. Ne trasse una galleria di ritratti talmente avvincenti da diventare un libro – I sette peccati di Hollywood –
con la prefazione addirittura di Orson Welles.
Ma non fece centro con la star più ambita.
E così la Fallaci anziché la verità di Norma Jeane Mortenson Baker descrive l’amarezza dell’averla inseguita ovunque invano, cadendo in varie illusioni di un contatto sino all’ultima promessa, un appuntamento fissato a casa sua, dove invece si ritrova intrattenuta dal marito Arthur Miller, nell’attesa che arrivi la diva.
Ma Marilyn non arriverà mai.
Da questa occasione mancata una folgorazione: perché non realizzarla oggi, quell’intervista all’attrice più famosa del mondo, vanamente concupita dalla più grande giornalista del Novecento?
C’è una logica, infatti sono stata sedotta non solo dalla prima, ma anche dalla seconda, della quale ho potuto conoscere particolari inediti raccontati da Vittorio Feltri. (…) Così, ho pensato a un’intervista immaginaria, “strappata” a distanza. Reverente e piccola sostituzione (anche se appassionata e rispettosa) di quella che la grande Fallaci avrebbe voluto scrivere. Folle idea? Non più di tanto: ho immaginato di allacciare un filo diretto con la star più amata e desiderata di tutti tempi, Marilyn con la sua voce irresistibile, intrisa di miele e seduzione, che arriva da un mondo parallelo pieno di stelle… dell’universo. Sì, proprio le stelle del cielo, dove ci piace immaginare risiedano le persone amate quando non ci sono più.
La sua resta la più luminosa, perché luminosa è stata durante la vita terrena.
©Libero 4 agosto 2022