Sangue e Spirito: la lezione di Gustav Meyrink
Luca Siniscalco«Sangue in formazione d’iperbole». Con questa espressione un giovane dadaista italiano, Julius Evola, invoca nel 1920 l’indirizzo della volontà verso il dominio dell’astrazione, versante artistico della Via dell’assoluta autonomia e consistenza spirituale. Attorno alla fine di questi stessi anni Venti lo scrittore ed esoterista austriaco Gustav Meyrink celebra la «metamorfosi del sangue», come il passaggio esistenziale che lo trasmuta in scrittore – esito personale del «tentativo di trasformare se stessi per divenire signori del caso e della fortuna». Assonanze per nulla casuali, se si considera la rilevante influenza meyrinkiana sulla visione del mondo di Evola, che dell’autore del Golem fu imprescindibile traduttore e divulgatore in Italia. La componente occulta e iniziatica dell’opera del Demiurgo del Fantastico emerge con chiarezza, al di fuori di qualsivoglia superfetazione letteraria, ne La metamorfosi del sangue, una vera e propria autobiografia spirituale del Nostro, recentemente pubblicata da Bietti, che va idealmente ad affiancare il saggio Alle frontiere dell’occulto. Scritti esoterici (a cura di Gianfranco de Turris e Andrea Scarabelli, Arktos, Carmagnola 2018).
Entrambe le opere suggeriscono che gli interessi esoterici di Meyrink non furono limitati alla sfera simbolico-letteraria, costituendo piuttosto il nucleo vivente della ricerca esistenziale dello scrittore. L’interpretazione di Meyrink quale ingenuo narratore affascinato dagli aspetti esteriori dell’occultismo, o come ironico e scanzonato autore favolistico e disimpegnato, sbiadisce di fronte alle asserzioni metafisiche, fulminee e lapidarie, che s’irradiano da Die Verwandlung des Blutes: «Presto mi fu chiaro che non le teorie filosofiche di pensatori e studiosi, ma soltanto lo Yoga, profonda e singolare scuola asiatica, costituiva la via verso il superuomo»; «tutto ciò che sulla terra e nel cosmo pensiamo di percepire come esistente oggettivamente al di fuori da noi non è materia, ma uno stato di noi stessi»; «la facoltà della visione interiore che conseguii […] quella notte d’inverno fu la prima svolta del mio destino […]: la mia fantasia divenne concreta». L’immaginazione creatrice, insomma, come facoltà metafisica, percezione simbolica e sguardo rinnovato sulla realtà. Ecco la connessione fra la sfera artistica e quella esoterica: entrambe si alimentano d’invisibile, donando forma all’esperienza estrema del mistero tremendo e ineffabile. Questo si rivela, tuttavia, proprio grazie al radicamento nel corpo e nella carne, alla capacità di condizionare e trasmutare – quasi alchemicamente – il sangue pulsante.
Oltre il tipo umano sentimentale e quello razionalista – due facce dello stesso riduzionismo antropologico a più riprese dileggiato da Meyrink – può ergersi un homo integralis, austero e tragico connubio di materia e spirito, tensione e realizzazione, dall’occhio interiore vigile, capace di cogliere la tessitura sottile dell’Unus Mundus. Una figura dell’avvenire che le brecce aperte dalla contraddittoria civiltà postmoderna nell’ormai impotente cittadella della modernità rendono, seppure ancora lontana, a tratti manifesta.
A chiarire, con rigore storico e filologico, il rapporto di Meyrink con il milieu esoterista della sua epoca sono gli apparati peritestuali dell’edizione Bietti: l’introduzione di Sebastiano Fusco, che tematizza la «ricerca della trascendenza in Meyrink» al crocevia fra le esperienze iniziatiche e il simbolismo della sua narrativa; la rara introduzione di Enrico Rocca alla prima edizione italiana de Il Golem (1926), fondamentale nella ricezione dell’autore in Italia; il saggio Magiche metamorfosi del curatore, Andrea Scarabelli, che dettaglia gli snodi biografici dell’esperienza esoterica del nostro e ne delinea la filo-sofia di fondo: un prospettivismo integrale entro cui «il piano del reale è la proiezione di un certo sguardo dell’Io», che richiede pertanto addestramento, perfezionamento ed espansione ai fini di una riunificazione del cosmo lacerato. Un insegnamento eminentemente magico, quello di Meyrink, che si avvale della potenza della Parola (la dea indiana Vāc). Ad abitarla è il Dio nascosto, che frequenta il verbo interiore e spesso non disdegna di manifestarsi nella narrativa fantastica.
Gustav Meyrink, La metamorfosi del sangue, a cura di Andrea Scarabelli, introduzione di Sebastiano Fusco, tr. di Camilla Sampietro, Edizioni Bietti, Milano 2020, pp. 160, € 17,00.