Per molti anni il cinema ci ha insegnato che Mozart è stato assassinato. Amadeus (1984) docet, benché Forman non si sia inventato nulla: il suo film è ispirato a una pièce di Shaffer, a sua volta ispirata a un’opera di Rimskij-Korsakov e a una pièce di Puškin; e quest’ultima era già stata portata sullo schermo, settant’anni prima, dai russi Turžanskij e Jurjev in Sinfonia di amore e di morte. In queste pellicole e opere teatrali l’elemento giallo non è determinante: abbiamo un solo colpevole possibile, Salieri, che per di più si autoaccusa, privandoci del piacere di smascherarlo. Ma c’è un film in cui la morte di Mozart è trattata come in un giallo alla Agatha Christie: il tedesco-cecoslovacco Non dimenticate Mozart di Miloslav Luther (1985). Qui il capo della polizia segreta di Vienna riunisce al capezzale del musicista varie persone sospettate del delitto e cerca il colpevole, anche se alla fine non lo trova e insabbia per sempre le indagini con un «Dimenticate Mozart» che giustifica il titolo tedesco e svela la truffaldina approssimazione di quello italiano1.
In realtà il mito dell’omicidio di Mozart nacque da Mozart stesso, o perlomeno dalla moglie Constanze, a cui il marito avrebbe confidato poche settimane prima della morte: «So che devo morire, qualcuno mi ha dato dell’acqua tofana2 e ha calcolato il giorno preciso della mia morte». Anche alcuni biografi seriamente documentatisi/autorevoli hanno ipotizzato che il compositore sia stato assassinato a causa dei debiti di gioco, o per questioni di donne, o ancora per via degli ideali massonico-illuministi veicolati dalla sua ultima grande opera, Il flauto magico.
Fin qui possiamo dunque riposare tranquilli sulle nostre suggestive certezze cinematografiche: Mozart è stato assassinato. Ma nel 1999, a metà strada tra i 200 anni dalla morte (1991) e i 250 dalla nascita del musicista (2006), Sergio Martino ci offre una diversa prospettiva: Mozart è un assassino. Certo in questo suo ultimo thriller, realizzato per la tv con tutti i limiti che ciò comporta di default, il regista non risale al Settecento: titolo e soggetto sono da imputarsi al fatto che Mozart, tra bicentenario della nascita e successo mondiale di Amadeus, è in quegli anni un personaggio di forte richiamo anche commerciale. Tuttavia il compositore c’entra… Non soltanto per il manifesto di un concerto intitolato Mozart Mistero che si vede sullo sfondo; né per la frase che giustifica il titolo, pronunciata dal commissario appena destituito dalle indagini: «Non mi interessa di sapere chi è l’assassino. Sarà stato Mozart…». La spara grossa, il commissario in disdetta, ma nemmeno troppo. Perché a suo modo, e senza saperlo, il colpevole è proprio lui, Mozart.
Assistiamo nel film – che riassume, a un più tiepido livello televisivo, temi e suggestioni delle opere anni Settanta del regista – ad alcuni delitti in serie di cui sono vittime i componenti di un corso di musica da camera. Il gruppo si è già ridotto da 20 a cinque allievi prima dell’inizio, per questioni squisitamente musicali. Un misterioso assassino, però, si incarica di ridurlo ulteriormente, fino a farne un duo e lasciare infine sotto i riflettori, a film concluso, nient’altro che un solista. In fondo l’idea proviene da un thriller inglese di Freddie Francis, La bambola di cera (1966), dove gli esecutori di un altro brano da camera mozartiano venivano sterminati uno a uno.
Oltre a quelli narrati, il film di Martino si porta dietro alcuni misteri non dichiarati. È girato a Torino – a parte la sequenza finale nel Parco naturale La Mandria – ma cerca di nascondere l’ambientazione, evitando qualunque inquadratura che renda la città riconoscibile per chi non la conosce bene: il regista arriva addirittura a usare una bizzarra inquadratura sghemba pur di non mostrare il nome del Conservatorio in cui hanno luogo molte scene. Si voleva forse evitare il rimando scontato alla Torino di Dario Argento? Ma c’è un mistero ancora più insondabile: all’inizio vediamo i cinque giovani musicisti eseguire il brano di Mozart che è la chiave del giallo… Peccato però che si tratti di un quartetto, il KV 478. Eppure Mozart, se per ragioni di trama occorrevano cinque esecutori, di quintetti ne compose parecchi. Curiosamente, anche La bambola di cera inizia con la sparizione di uno degli esecutori di un quartetto. I sopravvissuti, però, stanno eseguendo un trio e dunque, musicalmente parlando, nessuno mancherebbe all’appello e il film non avrebbe ragione di iniziare.
Da prodotto destinato al prime time di Rai Due, Mozart è un assassino ha inoltre evidenti limiti di costituzione: gli interpreti sembrano usciti da una soap opera; la colonna sonora, dove non è firmata da Mozart (di cui si ascolta anche una pessima esecuzione del Rondò alla turca), è così insignificante che potrebbe essersi composta da sola al computer. Non mancano, infine, incongruenze lampanti: tutti gli indizi, e anche alcune immagini, fanno pensare che il colpevole sia un omone dotato di forza erculea, invece il killer risulta essere un’esile ragazzina la quale, alla fine, stermina da sola un intero corpo di polizia con l’aiuto di un veleno che fa pensare all’acqua tofana di Mozart. Eccessiva e non credibile ecatombe.
Ma il ritmo è coinvolgente, la tensione non manca, alcune scene come quella dell’omicidio nella vasca idromassaggio rammentano l’antica maestria del regista. E la soluzione finale – legata alla musicoterapia – è interessante, originale e meno ridicola di quanto potrebbe sembrare: l’assassina è spinta ai ripetuti crimini dalla memoria prenatale di un omicidio a cui ha assistito quando era ancora nel grembo materno; a fare riemergere il ricordo dall’antico buio amniotico è un passaggio del quartetto di Mozart. Dunque è davvero il compositore, in un certo senso, l’assassino. Benché il passaggio incriminato sia costituito da un normale, innocente accordo, il pensiero corre al medievale diabolus in musica, il tritono che per molti secoli fu vietato in sede scolastica in quanto attribuito al diavolo.
Se un feto è l’incolpevole colpevole, un altro feto è poi l’ignaro risolutore della vicenda. Ci si potrà ironizzare, ma la trovata non è così distante da quella dell’ultimo romanzo di Ian McEwan, Nel guscio, dove è un feto a seguire e addirittura commentare la preparazione di un omicidio. E il gioco dei rimandi casuali – se mai vi fu qualcosa di casuale al mondo – fa riflettere sul fatto che il film, pur girato nel 1999, porta il copyright del 2001: l’anno-simbolo del capolavoro epocale di Kubrick, che si chiude anch’esso con un feto, fine e insieme principio di tutto. Proprio come il piccolo ma non infimo film di Martino, che si conclude in un colpo solo come giallo (la soluzione del mistero) e come commedia (l’annuncio di una maternità). Non sarà il feto cosmico, ma è pur sempre la vita che vince e che continua, come la nidiata di piccoli Papageni che chiude tante messinscene – compresa quella inarrivabile di Bergman – de Il flauto magico di Mozart.
Note
1 Il titolo italiano, infatti, capovolge bizzarramente il significato del titolo originale, che suonava come Dimenticate Mozart (Vergeßt Mozart).
2 Veleno ad azione lenta, a base di arsenico, che deve il nome a un’avvelenatrice italiana del XVII secolo, Giulia Tofana.
CAST & CREDITS
Regia: Sergio Martino; soggetto: Sergio Martino; sceneggiatura: Francesco Contaldo, Sergio Martino; fotografia: Bruno Cascio; scenografia: Barbara Sgambellone; costumi: Stefania Svizzeretto; montaggio: Eugenio Alabiso, Giovanni Ballantini; musiche: Luigi Ceccarelli; interpreti: Enzo De Caro (commissario Antonio Maccari), Daniela Scarlatti (Marta Melli), Azzurra Antonacci (Marina Bagnasco), Emanuela Garuccio (Annabella Cialini); produzione: Rai Cinema, Devon Cinematografica; origine: Italia, 1999; durata: 96’; home video: dvd Italian Shock (import, Olanda); colonna sonora: inedita.