Il presente numero è dedicato a una presentazione dei sintomi della crisi della modernità, i quali si manifestano proprio laddove è nata, vale a dire negli Stati Uniti. Gli approcci dei saggi sono molto eterogenei fra loro, quasi questi segnali non si traducessero in una completa sintomatologia. Elemento unificante, come precisa l’editoriale, è l’antimodernismo, inteso non tanto come antimodernità ma nei termini di una messa in discussione dell’adorazione acritica e dell’esaltazione di un momento storico. Del quale, a proposito della “ideologia dei diritti dell’uomo”, sempre citata nell’editoriale, rimane fondamentale l’accettazione del concetto di eguaglianza secondo la lettura che ne diede Alexis de Tocqueville: «Comporre una società in cui gli uomini fossero così simili e di condizione tanto eguale quanto può essere consentito all’indole umana… Non solo eguali, ma liberi». Credo che il «quanto sia consentito» si riferisca non a una impossibile e astratta eguaglianza assoluta ma a un eguale esercizio di diritti, condizione necessaria per essere liberi – anche se non sufficiente, come prova una società come quella nordamericana, nella quale l’individualismo economico ha tradotto il diritto alla ricerca della libertà dei padri fondatori in una struttura classista che il tempo non ha reso più duttile, ma rigida (ben altro dalla “società liquida” di Bauman).
Tra gli scritti, il più organico è l’intervista a Lucio Valent. Il termine “schizofrenico” vi figura due volte, all’inizio e alla fine della storia nordamericana, prima a proposito del «rapporto tra coloni e madrepatria» e poi di quello con la «comunità europea». Al di là della accezione rigorosamente medica, il termine indica la persistenza di una patologia legata a quello che è il filo conduttore del mio saggio L’impero antimoderno. La crisi della modernità statunitense da Clinton a Obama (Edizioni Bietti, Milano 2013). Le stragi ricorrenti continuano, con coincidenze che mi paiono confermare la validità dell’analisi: il libro uscì in concomitanza con la bomba esplosa durante la maratona di Boston, e ho cominciato a scriverlo il 16 settembre, il giorno in cui l’afro-americano Aaron Alexis, che era stato tra gli eroici soccorritori dell’1l settembre, nonostante precedenti di turbe mentali diventato contractor della Marina, entrava in divisa paramilitare nella sua più importante base operativa (Navy Yard, nel centro di Washington), sparando con un fucile a pompa e provocando dodici morti. Dapprima si parlò di complici, poi questi vennero esclusi – ma ancora non si è chiarito come sia stato possibile, né la ragione per la quale, solo pochi giorni dopo, il 4 ottobre, una madre con un bimbo a bordo abbia forzato un posto di blocco alla Casa Bianca, finendo uccisa dalla polizia: follia endogena nel cuore dell’impero.
Oltre alle stragi precedenti da me segnalate, una ha avuto un seguito, quella alla scuola di Newtown, nel Connecticut, dove il 14 dicembre 2012 il ventenne Adam Lanza uccide dodici bambini e sei adulti. Si diffonde la voce che non sia mai avvenuta, che è una finzione orchestrata da Obama e dai media della sinistra per ottenere una limitazione all’uso delle armi. Oltre dieci milioni di spettatori vedono un breve filmato di trenta minuti che registra sul posto discrepanze minime, contraddizioni e rettifiche delle prime versioni, per sostenere trattarsi di un’invenzione. Nel febbraio 2013, a Newton arrivano da tutto il Paese negazionisti, che vogliono raccogliere prove della montatura. Forse si è trattato di una campagna promossa dai fabbricanti di armi. Nel giugno dello stesso anno, una assemblea della comunità decide di abbattere l’edificio per ricostruire la scuola altrove. Mentre concludo lo scritto, altre stragi si verificano a New York e in Arizona.
La traduzione artistica di questa “schizofrenia” è oggetto di due saggi: quello su Flannery O’ Connor e quello dedicato al film Giorni di ordinaria follia. Mentre i negazionisti di Newtown fanno pensare, in contesti molto diversi, ad altri momenti drammatici della crisi della modernità nordamericana, i dubbi sulla versione ufficiale dell’11 settembre e un altro sorprendente negazionismo, che rifiuta di credere al culmine tecnologico della modernità, l’arrivo sulla Luna, contrappunto ad Andrea Zanzotto e il mito dell’allunaggio.
Completano i sintomi, in termini di trasformazione e allontanamento, i saggi Il popolo del mais, il «petrolio giallo», «indice di una frattura insanabile dell’idea che l’America ha di se stessa», e Woody Allen e l’arte della fuga dal nostro Occidente: se «i sogni – come via di fuga – sono il termometro della felicità», forse è stata abbandonata la sua ricerca, base moderna della Costituzione nata dal 1776.