Studio Ghibli. L'animazione utopica e meravigliosa di Miyazaki e Takahata
Andrea Fontana & Enrico AzzanoNel lontano 1985 due animatori di razza, forse un po’ incompresi forse un po’ tenuti a distanza per via della loro arroganza e bravura, decidono di fondare “ufficiosamente” uno studio di animazione quale base produttiva per i film che desiderano realizzare. Un luogo fisico, estemporaneo, dove poter fare il proprio lavoro. Senza troppo contare sul futuro. Ma a dirla tutta, non sono davvero sicuri di potersi cimentare in una simile impresa. Il più giovane ha in mente progetti grandiosi, titanici, costosi dove spesso si varcano i confini del cielo; il più anziano a parole incoraggia, invita a gettarsi nella mischia ma nella pratica è un inguaribile procrastinatore. I due si chiamano Hayao Miyazaki e Isao Takahata. Oggi tutti sanno chi sono. Entrambi arrivano da una formidabile scuola del cinema animato erroneamente compressa in una sigla (Tōei Dōga) e in realtà coniugata alle generalità artistiche e professionali di un manipolo di individui dal talento asimmetrico e incontenibile: Yasuji Mori, Yasuo Ōtsuka, Yōichi Kotabe, Reiko Okuyama, Yoshifumi Kondō. Il meglio del meglio che si possa trovare in Giappone, indietro di cinquant’anni nell’industria animata.
Entrambi gli animatori scoprono di avere peraltro un convintissimo fan: tale Toshio Suzuki, un piccoletto che si era laureato in Lettere all’Università Keiō di Tōkyō e nel 1972 aveva fatto il suo ingresso in editoria andando a collaborare con il settimanale Asahi Geinō di Tokuma Shoten, per poi ricevere – sei anni più tardi – l’assurdo incarico di creare una rivista di animazione in una manciata di settimane. Nel 1978 il piccoletto dà vita dal nulla ad Animage, la rivista di anime per antonomasia. Il resto, come si dice, è storia. Per una ragione e per l’altra i due animatori e il piccoletto si trovano ad aggirarsi nei paraggi di quel progetto comune che prende il nome, a seconda degli aneddoti che si desiderano assecondare, dal vento caldo del Sahara: Studio Ghibli.
Ecco, Studio Ghibli. L’animazione utopica e meravigliosa di Miyazaki e Takahata, di Enrico Azzano e Andrea Fontana, racconta proprio questo. Un resoconto su un importante anniversario, i trent’anni dello Studio Ghibli, per discutere del lavoro di due amici, colleghi e rivali, a cui probabilmente non sarà dato ulteriore seguito: Miyazaki dice di non volerne sapere più di nuovi lungometraggi, Takahata per sopraggiunti limiti di età non potrebbe neanche volendo (gli ci sono voluti otto anni per completare La storia della principessa splendente nel 2013). Magari qualche cortometraggio per il Museo Ghibli varrà bene la cortesia di smentire se stessi. I possibili eredi invece sono un terno al lotto. Solo il tempo dirà se Hiromasa Yonebayashi e Gorō Miyazaki, figlio di cotanto padre, saranno capaci di allungarsi sulle ombre artistiche lasciate dai predecessori. Pure su questo il libro di Azzano e Fontana ragiona. Ed è inevitabile.
La letteratura scientifica italiana in merito all’animazione giapponese, nonostante i rimbrotti di certuni, con piglio forse amatoriale o da otaku ha sempre prodotto opere al singolare sugli artisti più in voga di anime e manga. Alle calcagna di Miyazaki, per esempio, si contano ben sei contributi.
Nessuno in effetti prodigioso: il saggio di Alessandro Bencivenni (Le Mani, 2003) è un repetita iuvant del libro di Helen McCarthy (Stone Bridge Press, 1999); i libri di Anna Antonini (Il principe costante, 2003) e Alessia Spagnoli (Sovera Edizioni, 2009) si somigliano nella comune ricerca di temi e ideali artistici; il volume di Maria Teresa Trisciuzzi (Carocci, 2013) punta sull’aspetto pedagogico dei film di Miyazaki, mentre il libro di Valeria Arnaldi (Ultra, 2014) è un lussuoso catalogo di immagini. Il recente I mondi di Miyazaki. Percorsi filosofici negli universi dell’artista giapponese (Mimesis, 2016) a cura di Matteo Boscarol è forse una delle poche singolarità
ben riuscite. Del mio su Takahata (Cartoon Club, 2007), ovviamente taccio. Sullo Studio Ghibli, d’altra parte, non era stato scritto alcunché.
L’anniversario del trentennale è quindi un percorso obbligato per sottoporre al lettore e agli appassionati un discorso consuntivo sull’opera dei due autori a patto di non somigliare troppo alle suddette prestazioni intellettuali. Se ci sia riuscito o meno, in tutta risposta consiglio di leggere il testo introduttivo di Jurij Borisovič Norštejn, l’animatore russo che li conosce piuttosto bene, complice di Takahata in Fuyu no hi (2003), imparziale osservatore del mestiere di entrambi e per tale ragione anfitrione d’eccezione di questo volume edito da Bietti.
Non è la solita prefazione, perché la penna non appartiene a un esperto passivo, uno specialista della materia di cui è costituito il libro. Norštejn è uno degli “altri”: artista, vip dell’animazione d’autore che conosce quel mondo (fatto di sogni e libertà, avvertono Azzano e Fontana) e intuisce distintamente le dinamiche di lavoro dei due maestri giapponesi. Contributi del genere sono spesso l’antidoto alla noia, alla routine di cui si circonda una certa letteratura scientifica per darsi un tono, per avanzare pretese accademiche in ristretto ambiente. D’altronde, lupus in fabula, lo stesso Takahata ha scritto un discreto numero di libri e saggi su Frédéric Back, Paul Grimault, Jurij Norštejn. Da pari a pari. Credo che libri del genere siano pertanto fondamentali e complementari all’indagine critica o alla banale missione di appassionare un lettore. Possiedono un valore intrinseco, sul quale è inutile tergiversare oltre. Il fatto che Norštejn abbia acconsentito a prendervi
parte è la cosiddetta ciliegina sulla torta: l’avvio più intonato che il volume di Azzano e Fontana potesse innescare.
Dopodiché occorre ristabilire l’ordine, riprendere le fila del tema e ridistribuire con dovizia di particolari e interventi le clausole artistiche di cui al titolo (utopia e sense of wonder), perché a questo punto da singolare la voce super partes di Norštejn diventa un coro di voci.
Nella prima parte i curatori del volume si dividono i capitoli perlustrativi e analitici: nel primo, molto lungo, assolutamente esaustivo, intitolato Miracolo a Koganei. Storia sentimentale di un luogo (dell’)immaginario, Enrico Azzano ripercorre le tappe della vita e della professione di Takahata e Miyazaki dalle origini, passando per le tappe intermedie (A-Production, Nippon Animation) sino alla fondazione dello Studio Ghibli. Con il capitolo Isao Takahata. La cruda carezza di un sogno reale, Andrea Fontana si occupa dei lavori cinematografici di Takahata; e Azzano replica con le serie TV e i film di Miyazaki nel capitolo intitolato Hayao Miyazaki. Nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto: appunti sparsi di uno spettatore incantato. Di nuovo Fontana con il quarto capitolo sugli eredi, L’altro Ghibli. Oltre Miyazaki e Takahata. In chiusura di sezione, le schede di tutte le produzioni dello studio con tanto di titolo in ideogrammi, comprese le prove registiche di gioventù. L’approccio analitico procede di pari passo alla storia del cinema di animazione, non ne può fare a meno. Tiene in considerazione non soltanto titoli di opere, ma anche nomi di artisti e collaboratori che hanno contribuito alla formazione dei due animatori. E tiene conto delle circostanze produttive a latere, i generi come il Sekai Meisaku Gekijō, le mode capaci
di influire sull’estetica e la poetica di Miyazaki e Takahata (ovviamente presentati in ordine gerarchico: prima il maestro, quindi l’allievo).
Dopo aver appreso quanto c’era da apprendere nella prima parte, l’altra metà del volume lascia quindi la parola agli esperti. La scelta degli intervenuti è un perfetto mix di conoscenze, competenze e interlocutori della materia ghiblica. Raffaele Meale è collaboratore di lunga data dei due curatori; Mariuccia Ciotta, critico cinematografico de il manifesto, è da tempi non sospetti ammiratrice indefessa di Miyazaki e Takahata così come della loro nemesi, Walt Disney; Luca Della Casa, oltre a essere studioso del cinema animato è anche film programmer della manifestazione bolognese Future Film Festival dove fu ospitato per primo I miei vicini Yamada (1999); Matteo
Stefanelli, esperto di fumetto, si occupa dei manga di Miyazaki; mentre Matteo Boscarol indaga i legami tra le produzioni dei due registi e la Storia, a cui fa eco il lavoro di Massimo Soumaré, uno dei nostri preferiti, su storia e tradizione nelle opere dello studio. Ogni contributo introduce un punto di vista sul dinamico duo dello Studio Ghibli decisamente appagante, con riferimenti incrociati che vanno ben oltre il solo perimetro estetico e produttivo dello studio di Koganei. Aspetto oltremodo apprezzabile per chi già sa, e vigoroso ammonimento per successive indagini.
Infine, non meno importante, e con inclinazione in stile special guest, il libro si chiude con altri quattro interventi: Manuele Fior, Emanuele Tenderini, Sualzo e Carlo S. Hintermann, le cui biografie sono ovviamente segnalate all’interno del volume. Si tratta di approfondimenti esercitati con distacco.
Ci può stare la passione, ma anche un riversamento critico che non produce fraintendimenti. Come dovrebbe essere. Un esercizio di valutazioni DOC senza timore di piaggeria. Quasi tornando alla sublime, e genuina, forza partecipativa di Norštejn. Nulla è davvero lasciato al caso nel saggio
multi-corale di Azzano e Fontana.
Tutti questi aspetti, dunque, fanno di Studio Ghibli. L’animazione utopica e meravigliosa di Miyazaki e Takahata il volume più completo e garantista pubblicato sinora. Con un solo rimpianto: il mancato coinvolgimento di personalità giapponesi. Un Toshio Suzuki, sempre disponibile alla chiacchiera e ai ricordi, sarebbe stato una presenza funzionale e imprescindibile.
Oltretutto perché sull’argomento ha scritto parecchio anche lui. Un nuovo libro è infatti uscito a giugno con il titolo Ghibli no nakamatachi (2016). E da guascone qual è, il piccoletto non s’è fatto mancare una partecipazione nel film-documentario Il regno dei sogni e della follia (2013) di Mami Sunada.
Perché Suzuki l’aveva capita prima di chiunque altro, e forse senza di lui Miyazaki, Takahata e lo Studio Ghibli non sarebbero il fenomeno che conosciamo.
Mario A. Rumor ©Manga Academica n. 9
ottobre 2016