Evolution of a Filipino Family. This is my country of sorrow
Lav Diaz n. 3/2017di Giampiero Raganelli
Questo è il primo film di Lav Diaz che fa uso di una fotografia in bianco e nero dal potere mesmerico, con immagini di abbacinante bellezza, capace di affascinare lo spettatore durante una visione lunga dieci ore, ottenuta lavorando in postproduzione e virando in scala di grigi il colore con cui il film è stato girato. Una fotografia che registra la realtà senza modificarla, senza intervenire ad alterare la luce nell’arco delle riprese. Da questo momento in poi il regista filippino rimarrà fedele a tale impostazione estetica, con le sole eccezioni di Norte, the End of History (2013), lasciato a colori, e A Lullaby to the Sorrowful Mysteries (2016), in un bianco e nero pesantemente artificiale in chiave espressionista e gotica, omaggio al cinema del passato. Evolution non è il primo film di durata non convenzionale, il primo è stato West Side Avenue (2001), ma è quello che sviluppa in maniera definitiva la tipica narrazione a staffetta, fatta di tanti personaggi e tante microstorie che si coagulano progressivamente. Ed è un grande lamento – lo era anche West Side Avenue, ambientato a New York, sul tema della diaspora filippina – dovuto al travaglio di un popolo, che ha subito secoli di dominazioni straniere, e per la fragilità estrema del suo territorio, afflitto da eventi climatici distruttivi e da eruzioni vulcaniche. Evolution è un “kolossal storico” alla maniera di Lav Diaz, un film dalla lavorazione problematica durata dieci anni, dal 1994 al 2004, che in dieci ore tratta la ferita ancora aperta della lunga e spietata dittatura di Ferdinand Marcos. Il film abbraccia l’arco di tempo dal 1972 al 1986, cioè il periodo del regime del satrapo, a partire dall’instaurazione della legge marziale fino alla cacciata del ditattore e le tormentate elezioni che avrebbero portato al potere Cory Aquino. Diaz affronta momenti storici cruciali: Evolution, raccontando l’esperienza della legge marziale, si colloca tra From What Is Before (2014), che parla dell’avvento dello stato militare e degli eventi che avrebbero portato a quella condizione, e West Side Avenue, ambientato nel periodo successivo alla dittatura.
Evolution è incentrato su una famiglia contadina e sugli strati più bassi della popolazione, che il regista filippino descrive evitando ogni tono elegiaco. I loro ritmi di vita sono legati ai tempi della coltivazione del riso. Diaz rappresenta scene di pesca, aratri, donne che ramazzano, stendono i panni e nutrono i maiali, e lunghe scene di interni, che ricordano I mangiatori di patate di Van Gogh, con i contadini intenti a consumare i pasti. La Storia è vista attraverso i suoi riflessi nel mondo rurale, che la accetta passivamente per quasi tutto il film. Solo alla fine vedremo le masse contadine aggregarsi e confluire nella capitale per dare vita a imponenti manifestazioni di rivendicazione, perché finalmente hanno preso coscienza dei propri diritti, spente tramite brutali repressioni. Diaz racconta anche una storia sociale, accanto a quella politica, che assiste alla trasformazione dell’economia delle campagne con l’inizio dell’attività di ricerca dell’oro, e il conseguente mutamento della mentalità contadina da un’ottica di sussistenza a una di stampo capitalistico. E la ricerca dell’oro prelude, nel cinema di Lav Diaz (vedi in particolare i due cercatori del tesoro nascosto in Florentina Hubaldo, CTE [2012]), a una ricerca incessante – nel sottosuolo, nelle foreste e nei fiumi – dei fantasmi del passato, dei cadaveri della Storia.
Il mondo contadino non partecipa alla Storia, la subisce passivamente, e i suoi componenti possono essere prelevati dai villaggi per essere destinati a disumani campi di lavoro, alla gogna o a sparire del tutto, come i desaparecidos. È qualcosa che Lav Diaz ha visto con i suoi occhi quando era bambino, e che tornerà a raccontare in From What Is Before, dove evidenzia il ruolo degli infiltrati nei villaggi. Il nome del dittatore, Marcos, arriva solo dopo tre ore di film, quando i protagonisti del mondo rurale commentano gli eventi drammatici del loro Paese con discorsi da bar e sembrano abbastanza indifferenti, incoscienti dei rivolgimenti in atto nella nazione. C’è un momento emblematico in cui i contadini parlano di Marcos e, subito dopo, si dedicano alla pesca e, più tardi ancora, mangiano il pesce. Il loro vivere secondo i ritmi della natura li rende incuranti di ciò che sembra lontano, superfluo per la loro sopravvivenza. La concezione di Lav Diaz della Storia adotta il punto di vista degli umili, delle masse, del popolo, e si cristallizzerà poi in A Lullaby to the Sorrowful Mysteries, dove viene mostrata l’esecuzione dell’eroe nazionale filippino José Rizal, avvenuta nel 1896 per mano dei colonizzatori spagnoli, solo attraverso il controcampo del popolo in lacrime accorso ad assistere alla fucilazione. È evidente, in questo modo di rappresentare cinematograficamente la Storia, il modello di Città dolente di Hou Hsiao-hsien (1989). Sono tanti i punti di contatto con quest’opera: la Storia vista attraverso le vicissitudini di una famiglia, che la subisce di riflesso, in un lungo arco di anni; la condizione imposta dalla legge marziale e i motti che ne conseguono, che peraltro rimangono fuori campo, così come l’uccisione di José Rizal di cui si è detto; mentre la presenza di un personaggio muto sembra un omaggio del regista filippino al maestro taiwanese.
In quei grandi contenitori – di diverse forme d’arte, di diversi modi di rappresentazione del reale che spesso si interscambiano – che sono i suoi film, Lav Diaz aggiunge pure la soap opera radiofonica, i filmati di repertorio degli eventi storici, infine il cinema. Sempre attento a mettere a nudo i meccanismi della visione, a esibire il backstage e il processo di ripresa, la registrazione nel suo farsi. Normale quando un mezzo visivo come il cinema rappresenta un’opera radiofonica, fatta di solo suono, e che sarà ulteriormente transcodificata nel film nel linguaggio a gesti del personaggio sordomuto. Poi ancora il discorso televisivo di Cory Aquino, che prosegue con un pezzo fuori onda, e l’inquadratura che segue i manifestanti e si ribalta, denunciando così che l’operatore è stato colpito. Diversi approcci anche alla verità e alla falsità, quest’ultima espressa massimamente nelle trasmissioni radiofoniche prodotte dal regime. In mezzo a tutto ciò, il cinema, con l’omaggio al grande cineasta nazionale Lino Brocka, autore scomodo per la dittatura, e a Jean Vigo. Cos’è il documentario di Taga Timog, pseudonimo di Diaz, che propone tanto il backstage di Brocka quanto quello di Timog stesso, se non un cinema che contiene un altro cinema, che a sua volta è contenuto in un film?
Questo è Lav Diaz.
CAST AND CREDITS
Titolo originale: Ebolusyon ng isang pamilyang Pilipino; regia: Lav Diaz; sceneggiatura: Lav Diaz; fotografia: Richard C. De Guzman, Paul Tañedo; scenografia: Rishab, Jun Sabayton, Patty Eustaquio; montaggio: Lav Diaz; interpreti: Elryan de Vera (Raynaldo), Angie Ferro (Puring), Pen Medina (Kadyo), Marife Necesito (Hilda), Ronnie Lazaro (Fernando), Lui Manansala (Marya), Banaue Miclat (Huling), Sigrid Andrea Bernardo (Ana); origine: Filippine, 2004; durata: 617’.